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Il 20 luglio del 1304 nasceva il sommo poeta Francesco Petrarca – Lo ricordiamo con tre dei suoi più bei sonetti…
Francesco Petrarca, poeta eccelso e primo esempio nella storia di filologo, per la preziosa attività di studio e analisi sui testi antichi, con la sua opera voluminosa gettò le basi della poesia moderna, anticipando gli aspetti peculiari dell’Umanesimo. Insieme con Dante e Boccaccio è annoverato tra i padri della lingua italiana, avendo contribuito allo sviluppo della poesia in volgare.
Nato ad Arezzo il 20 luglio del 1304 e morto ad Arquà (ribattezzata in suo onore Arquà Petrarca) il 19 luglio del 1374, da giovane si dedicò agli studi di grammatica, retorica e dialettica. A 22 anni ebbe il fatale incontro con una donna di nome Laura, che segnò uno spartiacque nella sua maturazione poetica.
Incoronato poeta nel 1341 dal re di Napoli, Roberto d’Angiò, si adoperò fino alla morte per riportare la sede papale da Avignone a Roma, senza riuscire a vederlo compiuto. La sua produzione, distinta in opere in latino e in volgare, comprende tra gli altri il Canzoniere (raccolta di 366 poesie, incentrate per lo più sull’amore per Laura), le “Epistole” e il “De viris illustribus”.
Lo ricordiamo con tre dei suoi più bei sonetti…
Solo e pensoso
Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi e lenti,
e gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio uman l’arena stampi.
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti;
perché ne gliatti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:
sì ch’io mi credo omai che monti e piagge
e fiumi e selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.
Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so ch’Amore non venga sempre
ragionando con meco, et io co llui.
*****
Pace non trovo
Pace non trovo e non ho da far guerra
e temo, e spero; e ardo e sono un ghiaccio;
e volo sopra ‘l cielo, e giaccio in terra;
e nulla stringo, e tutto il mondo abbraccio.
Tal m’ha in pregion, che non m’apre nè sera,
nè per suo mi riten nè scioglie il laccio;
e non m’ancide Amore, e non mi sferra,
nè mi vuol vivo, nè mi trae d’impaccio.
Veggio senz’occhi, e non ho lingua, e grido;
e bramo di perire, e chieggio aita;
e ho in odio me stesso, e amo altrui.
Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte e vita:
in questo stato son, donna, per voi.
*****
Era ‘l giorno ch’al sol si scoloraro
Era ‘l giorno ch’al sol si scoloraro
per la pietà del suo Factore i rai,
quando i’ fui preso, et non me ne guardai,
ché i be’ vostr’occhi, Donna, mi legaro.
Tempo non mi parea da far riparo
contra colpi d’Amor; però n’andai
secur, senza sospetto: onde i mei guai
nel comune dolor s’incominciaro.
Trovommi Amor del tutto disarmato,
et aperta la via per gli occhi al core,
che di lagrime son fatti uscio et varco.
Però, al mio parer, non li fu honore
ferir me de saetta in quello stato,
a voi armata non mostrar pur l’arco.