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SEGUICI SULLA NOSTRA PAGINA FACEBOOK Elogio alla Follia
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Oggi, il 5 marzo 1922, nasceva Pier Paolo Pasolini. Lo vogliamo ricordare con una delle sue più tenere poesie: “La solitudine”
La solitudine
Bisogna essere molto forti
per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe
raffreddore, influenza e mal di gola; non si devono temere
rapinatori o assassini; se tocca camminare
per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera
bisogna saperlo fare senza accorgersene; da sedersi non c’è;
specie d’inverno; col vento che tira sull’erba bagnata,
e coi pietroni tra l’immondizia umidi e fangosi;
non c’è proprio nessun conforto, su ciò non c’è dubbio,
oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte
senza doveri o limiti di qualsiasi genere.
Il sesso è un pretesto. Per quanti siano gli incontri
– e anche d’inverno, per le strade abbandonate al vento,
tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani,
essi sono molti – non sono che momenti della solitudine;
più caldo e vivo è il corpo gentile
che unge di seme e se ne va,
più freddo e mortale è intorno il diletto deserto;
è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso,
non il sorriso innocente, o la torbida prepotenza
di chi poi se ne va; egli si porta dietro una giovinezza
enormemente giovane; e in questo è disumano,
perché non lascia tracce, o meglio, lascia solo una traccia
che è sempre la stessa in tutte le stagioni.
Un ragazzo ai suoi primi amori
altro non è che la fecondità del mondo.
E’ il mondo così arriva con lui; appare e scompare,
come una forma che muta. Restano intatte tutte le cose,
e tu potrai percorrere mezza città, non lo ritroverai più;
l’atto è compiuto, la sua ripetizione è un rito. Dunque
la solitudine è ancora più grande se una folla intera
attende il suo turno: cresce infatti il numero delle sparizioni –
l’andarsene è fuggire – e il seguente incombe sul presente
come un dovere, un sacrificio da compiere alla voglia di morte.
Invecchiando, però, la stanchezza comincia a farsi sentire,
specie nel momento in cui è appena passata l’ora di cena,
e per te non è mutato niente: allora per un soffio non urli o piangi;
e ciò sarebbe enorme se non fosse appunto solo stanchezza,
e forse un po’ di fame. Enorme, perché vorrebbe dire
che il tuo desiderio di solitudine non potrebbe essere più soddisfatto
e allora cosa ti aspetta, se ciò che non è considerato solitudine
è la solitudine vera, quella che non puoi accettare?
Non c’è cena o pranzo o soddisfazione del mondo,
che valga una camminata senza fine per le strade povere
dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.
Pier Paolo Pasolini
PASOLINI
Tu, tu che cosa hai fatto?
Un’accusa anche se non fosse
in forma di domanda, ma
come quelle pietre che ricordano
l’arsura, e le vedi e passi
rapido con l’occhio
zigzagante fuori finestrino
dal treno, e quelle stanche
stiracchiate ombre
di parapetti e lampioni,
la pineta umile e mesta
color di fazzoletto in testa
alle vecchie, il crocchiare
sterile e ossessivo
degli aghi secchi,
la foglia morsa dal mare
che ha il salmastro
adosso e non si libera.
Tu hai indosso i segni
mal colorati, appena
tratti, moscerini da biro
sul quaderno, e la rivista
è consumata da dita
troppo grasse e distratte,
ma ti sbottoni i pantaloni
e il resto:
sei il più onesto,
così potendo permetterti
di essere nodoso e grezzo
nudo
come un tronco piallato
dal fiume, dall’oceano,
freddi e oleosi o troppo
antichi per essere
gentili.